mercredi 18 juillet 2018

L’oggetto a – di Jean-Jacques Tyszler

 


Lezione tenuta a Roma, il 1 dicembre 2001, presso la sede del Laboratorio Freudiano per la formazione degli psicoterapeuti.
di Jean-Jacques Tyszler
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Vorrei iniziare questo incontro con la questione dell’oggetto, perché in questo modo si può creare una specie di ponte con il tema del transessualismo, lasciandolo inizialmente un po’ da parte per concentrarsi maggiormente sull’ipocondria. Il termine di ipocondria è d’altronde un termine molto fecondo ed è anche espressione di una clinica che purtroppo si è un po’ perduta, tanto che ci sarebbe tutto un lavoro di ricerca da fare sui grandi autori che si sono occupati di questo tipo di psicopatologia. Riassumendo, si può affermare che l’ipocondria è l’incarceramento dell’oggetto: essa designa un oggetto in quanto imprigionato nel corpo. Dire questo e nel modo che ho indicato rende subito molto enigmatica la questione dell’oggetto.
Ci si può chiedere quale sia tale oggetto che è nel corpo e che tiranneggia il soggetto fino a tal punto. Si può dire, ad esempio, che nel caso del transessualismo si tratta dell’oggetto che concerne gli organi genitali, perché il transessuale parla dei suoi genitali come di veri e propri corpi estranei, come una sorta di rifiuto o di scarto che non gli appartiene e per questo l’oggetto va tagliato via dal corpo. Più in generale, l’ipocondriaco parla allo stesso modo di qualcosa che è incistato nel suo corpo e che lo tiranneggia a tal punto che parla solo di questo. Penso che quanto detto possa rappresentare un buon inizio per affrontare la questione dell’oggetto a. L’oggetto dell’ipocondriaco non è specularizzabile; non lo si può designare, dicendo: Eccolo qui!; non lo si può formalizzare facilmente, non si presta allo sguardo, non appartiene a questo mondo, cioè non è del mondo dei sensi. A tale proposito, Lacan sembra voler rompere con una concezione dell’oggetto come oggetto rappresentabile, positivizzato, che è comunque derivato dall’oggetto parziale freudiano.
Una prima questione, quindi, è rappresentata dalla clinica delle psicosi che fa riflettere su certe categorie dell’oggetto che nella nevrosi si possono cogliere con maggiore difficoltà. Così, nel transessualismo ci si chiede quale sia l’oggetto privilegiato, se si tratti dello sguardo, o forse della superficie, della pelle oppure della totalità del corpo: tutto questo sovverte il nostro modo abituale di considerare l’oggetto perché esso, nella sua pulsionalità, deve trovare sostegno su una struttura di bordo, deve appoggiarsi su un’erogeneità del corpo. Mentre nelle psicosi non si sa più su quale corpo si sostengano le cose, nelle nevrosi crediamo di saperlo, anche se non è sempre così ovvio. Infatti abitualmente pensiamo che esista una funzionalità naturale degli orifizi, mentre in realtà è solo un modo di dire perché ci sono elementi della clinica, come l’alcoolismo e la tossicomania, che evidenziano come non sappiamo tanto bene cosa significhi un buco nel corpo, cioè nel caso specifico non sappiamo in che modo la bocca faccia buco. Pertanto anche nelle strutture non psicotiche questa questione deve ancora essere elaborata.
Lacan distingue quattro oggetti derivati dal lavoro di Freud, anche se questi non li distingueva allo stesso modo: il seno, le feci e altri due oggetti diversi da questi in quanto necessitano di una vera e propria costruzione (non necessariamente delirante ma sempre di costruzione), cioè la voce e lo sguardo. A questo proposito Lacan impiegherà due o tre seminari per stabilire cosa sia lo sguardo per il soggetto e la sua stessa costruzione si rivelerà molto complicata nel corso della sua opera. Si tratta, quindi, di oggetti che in Lacan si potrebbero definire quasi teorici e che non occupano esattamente lo stesso posto dei primi due. Sul piano clinico si possono trovare svariati tipi di oggetto che si potrebbero collegare alla serie di oggetti indicati da Lacan, come lo sperma, le lacrime, il sudore o addirittura il rien, citato da lui stesso, per cui tutto questo è ancora più difficile. Nella rivista La Célibataire si possono trovare due miei articoli dedicati alla clinica dell’oggetto in cui mi sono focalizzato in particolare sugli oggetti “fabbricati”[1]. Mi ero chiesto se ciò che si produce nella nostra economia moderna, in cui assistiamo a una proliferazione a carattere esponenziale degli oggetti, non potesse prendere a poco a poco il posto degli oggetti freudiani. Si tratta di un problema presente nella clinica odierna, cioè la possibilità che l’oggetto si positivizzi, in quanto viviamo in un’economia in cui si fa sempre più fatica ad afferrare che l’oggetto, per sua definizione, è ritagliato ed occorre farne il lutto. Questo, infatti, è l’apporto dato da Freud alla questione. Così per entrare nell’economia del godimento e del proprio desiderio, il soggetto deve ritagliare un oggetto e deve perderlo. Il nostro mondo moderno, invece, va esattamente nella direzione opposta, per cui abbiamo sempre più oggetti a disposizione per tutti i nostri sensi. Si tratta, comunque, di una questione limite, anche se penso meriti di essere posta.
In diversi seminari Lacan parla di oggetti che prolungano il corpo, in particolare con procedimenti tecnici, come ad esempio il disco che permette che la voce possa essere trasportata ovunque o che possa essere ripetutamente registrata. Credo che volesse dire che questa operazione modifica la pulsionalità del soggetto molto più di quello che si potesse pensare, ma non nel senso della simbolizzazione. Nella nostra clinica usuale si riscontra la proliferazione degli oggetti chimici. In considerazione di questo ci possiamo chiedere in che posto si possa inserire il fatto che i tossicomani siano obbligati a bucarsi la pelle per mettere in circolazione nel proprio corpo oggetti chimici snaturati (prodotti talora nemmeno eccitanti). Abbiamo qui a che fare con l’incorporazione di un tipo di oggetto e con la trasformazione della pulsionalità del soggetto. In particolare, infatti, come è noto, i giovani tossicomani non si interessano della propria sessualità, così come avviene anche nell’abuso di alcool. Questi oggetti hanno infatti una capacità “sessolitica”, per cui non si può dire che tutto ciò acceleri la simbolizzazione del soggetto. C’è in questi casi la tendenza a cancellare la qualità di taglio dell’oggetto, presentificando un tipo di oggetto che non è possibile tagliare; con questi oggetti non si sa più per dove passi il taglio. Questo è un aspetto interessante perché nel suo tragitto la pulsione deve fare il giro del grande Altro (in genere si pensa, per quanto riguarda la pulsione, ad un tragitto attraverso l’Altro ed è in questo modo che si simbolizza). In questo caso le stesse manifestazioni cliniche che positivizzano degli oggetti, snaturano la pulsione o la riconducono a pulsionalità pura, per cui non si verifica più il tragitto di simbolizzazione. Mi sembra che sia molto importante accordarci su queste questioni. Così l’oggetto dell’ipocondriaco non è rigettabile, non si può scindere.
In Lacan troviamo la garanzia dell’eredità freudiana relativa agli oggetti parziali, che sono adesi attorno agli oggetti che nominiamo. Contemporaneamente, però, riscontriamo la sua volontà di separarsene soprattutto riguardo l’aspetto troppo positivizzato presente in Freud, per cui Lacan arriva a parlare di oggetto solo tramite la topologia, come di qualcosa che si distacca dalle superfici geometriche, e non vuole che sia più rappresentabile in altro modo.
Per quanto riguarda l’oggetto del matema del fantasma, penso non possa intendersi che come un tempo della costruzione, un tempo che non sarà inaugurale. Quando nella clinica si avverte che l’oggetto del fantasma è difficile da cogliere ma è lì e tiranneggia – come lo sguardo nell’isteria ?, ogni donna, in questo caso, sentirà di essere alle dipendenze della questione dello sguardo. Credo, però, che il tempo del riconoscimento abbia a che fare, piuttosto, con un altro tipo di immaginario, cioè quello che Lacan ha definito come i(a), per cui tutti noi nevrotici abbiamo a che fare con la nostra realtà solo attraverso questo matema. L’immagine, però, è separata dall’oggetto dalle due parentesi e infatti si scrivei(a), per cui l’oggetto che si crede di cogliere non è mai quello. Questo oggetto, quindi, potrebbe apparire, se la cura si spinge abbastanza avanti, nel momento della costruzione del fantasma ed eventualmente potrebbe avere a che fare con il medesimo oggetto, per esempio lo sguardo. Occorre allora distinguere due livelli di immaginario, cioè quello dell’immaginario speculare e quello dell’immaginario fantasmatico.
La questione del fantasma è innanzitutto un tempo di costruzione tramite la parola, che corrisponde a mettere sullo stesso piano una serie di fenomeni, cosa che il paziente stesso riconosce come l’organizzazione del proprio fantasma, a condizione che naturalmente in quel luogo ci sia anche la parte dell’analista. Così nel caso del fantasma Un bambino viene picchiato, il secondo tempo non è a disposizione del soggetto ma viene restituito dall’analista, e quindi si tratta di una costruzione. Sono importanti, quindi, questi due livelli della questione dell’oggetto che nella dottrina non sono sullo stesso piano. Penso che Lacan cercasse di precisare meglio, al di là dell’immaginario usuale, ciò che era l’oggetto del fantasma. In fondo quello che si chiama in psicanalisi fantasma non era semplice neanche all’epoca da comprendere, perché molti confondevano il fantasma con le fantasie (ad esempio, le fantasie sessuali oniroidi ecc.). Quindi non è che sia “senza rapporto” ma questo non è sufficiente per dire in che consista il fantasma per Lacan.
Se riprendiamo la questione del transessualismo da questa angolazione possiamo dire che c’è ipocondria del corpo e contemporaneamente una specie di ipocondria della lingua, perché quando il paziente dice: “Voglio essere donna”, non abbiamo nessuna idea di cosa significhi un desiderio e quindi si può dire che c’è un’ipocondria del significante stesso. La cosa importante è che non sappiamo cosa venga detto in quel momento ed è per questo che spesso è difficile mettersi d’accordo su queste questioni, perché occorre mettersi in una posizione assolutamente priva di qualsiasi connivenza, cioè non si può far vedere di capire quello che non si capisce. Così quando un paziente dice: “Voglio essere una vera donna”, non abbiamo alcuna idea di quello che sta dicendo, ossia la lingua stessa diventa ipocondriaca, in quanto è lavorata da oggetti strani, per cui né noi né il paziente riusciamo a rappresentarla. Tramite l’ipocondria si capisce bene il rapporto tra il lavoro della lingua e il corpo, che sono la stessa cosa. Si potrebbero fare altri esempi, come la sindrome di Cotard ma quando un paziente ci dice: “Sono completamente tondo, una sfera senza buchi”, cosa si può capire? Che rappresentazione possiamo avere di un paziente completamente pieno? Se pertanto non disponiamo almeno in parte del lavoro di Lacan, compresi questi curiosi oggetti topologici, risulta molto difficile entrare in questa clinica, salvo credere di sapere cosa significhi quando uno asserisce di essere rotondo. Qui il lavoro della negazione stessa è svolto da un tipo di negazione sconosciuta alla linguistica e opera sulla lingua fino al punto di rendere i pazienti immaginariamente sferici. Per rendere conto di ciò occorre una teoria dell’oggetto che non sia una teoria immaginaria. Si vede come la lingua stessa trasformerà la questione del corpo.
Per il momento penso che noi analisti lacaniani non abbiamo considerato che in tutta la prima parte del lavoro di Jacques Lacan l’oggetto è sempre un prodotto del taglio. Direi che la nostra stessa formazione si basa su una concezione in cui prevale il taglio. A partire dai nodi borromei Lacan propone invece una clinica della “incastonatura” che gli permette di tenere insieme i tre registri (reale, simbolico, immaginario). Non sappiamo perché egli abbia teorizzato tutto ciò e non sono sicuro che siamo già in grado clinicamente di valutare bene cosa questo voglia dire, per cui penso che sia nostro compito cercare di scoprirlo. Bisogna, allora, mettersi d’accordo clinicamente sulle implicazioni di questa elaborazione perché non è qualcosa che sia stato già pienamente digerito o, almeno, non ne ho mai sentito parlare finora in maniera esauriente. Avevo proposto in un articolo che è stato pubblicato (in cui si parla di un particolarissimo caso clinico di un paziente transessuale), che la pelle e il vestito fossero l’oggetto. È probabile che ci troviamo in una clinica completamente priva di bordi, come effettivamente in Schreber in cui è tutto il corpo nella propria totalità a fare da supporto ad un tipo di godimento cui non siamo abituati. Resta comunque un problema aperto perché ci sono alcuni fenomeni della clinica contemporanea (ad esempio, quello che succede con i giovani che si segnano il corpo con tatuaggi,piercing, scarificazioni ecc.), che rappresentano tutta una serie di fenomeni nuovi che è molto difficile ricondurre a fenomeni simbolici. Prima di far questo vale la pena, dal punto di vista clinico, osservarli più da vicino e chiedersi perché questi soggetti si operino nuovi tratti sulla pelle o attraverso la pelle, cosa che per me rimane un problema aperto. Ci si può ancora chiedere, allora, cosa siano questi oggetti, perché non è così facile designare un oggetto. Forse è agganciato tra la pelle e il vestito.
In ogni caso la nostra concezione del corpo sta cambiando, anche per effetto delle tecniche scientifiche attuali. Gli scienziati che al giorno d’oggi lavorano sull’intelligenza artificiale sono molto lontani dalla concezione di un uomo – macchina che ci promettono, per cui ci saranno certamente oggetti incorporati al corpo e gli analisti saranno come dinosauri.
In Lacan c’è un postulato molto forte ereditato da Freud: occorre che nel vivente ci sia una zona da cui il godimento sia assolutamente escluso, cioè occorre una zona svuotata di godimento (come si può ritrovare, ad esempio in tutti i capitoli in cui parla della Cosa, Das Ding). Occorre dunque che ci sia un limite per il godimento e nemmeno la parola desiderio si può capire senza questo limite posto al godimento. Ora dal punto di vista clinico c’è la dimostrazione che possano esistere godimenti infiniti. Se infatti si riprende l’osservazione di Schreber, si nota che egli si lamenta di essere sempre sotto la tirannia del continuo: i fenomeni non cessano mai ed è in continuazione sotto il godimento dei raggi. Emerge qui un segno clinico molto importante: esiste un tipo di godimento infinito che fa riflettere sulla possibilità del vivente di entrare in tipi di godimento continuo. Se ne può parlare anche in rapporto alla matematica, dove l’algebrizzazione è effettivamente continua. Goedel rispondeva in questo al matematico Gilbert che aveva il fantasma che un giorno la matematica sarebbe stata completamente chiusa, cioè in un godimento pieno, e a livello della scienza questo è sicuramente un grande fantasma. Esiste però la possibilità da un punto di vista clinico di incontrare godimenti infiniti. È un altro modo di riproporre la questione lavorando da un lato con quello che Lacan chiama il godimento fallico e dall’altro con ciò che apporterà chiamandolo godimento Altro, con la conseguente difficoltà ? come avviene talvolta nella clinica ?, di distinguere il godimento Altro rispetto al godimento dell’Altro. È un altro modo di abbordare la questione tramite il godimento, cioè un altro modo di parlare dell’oggetto. Per Lacan ci sono così varie modalità di approccio alla stessa questione e forse bisogna evitare di sintetizzarle troppo, in quanto il nostro auspicio sarebbe quello di farne una lettura sintetica ma non credo sarebbe corretto. Così per un certo problema è più utile un tipo di approccio, per un altro problema uno diverso. Lacan non si poneva il problema che tutto fosse omogeneo, tanto che per tutto il corso dei seminari ci sono diverse teorie dell’Edipo, o meglio svariate revisioni della teoria dell’Edipo e credo che di nessuna si possa dire essere la più giusta, in quanto ogni volta per Lacan si trattava di distaccarsi da Freud.
Recentemente ho fatto un piccolo lavoro su perversione e paranoia. Si può ipotizzare un legame tra la perversione e un certo tipo di paranoia e tutto quello che dicevamo ha a che fare con una specie di delirio a due in cui è probabile che uno dei due sia alquanto perverso. Si verifica qui un certo tipo di alleanza. Quando Marcel Czermak a questo proposito usa il termine di psicosi sociale descrive soprattutto delle accelerazioni perverse nel tessuto sociale. Parla di psicosi perché non c’è più un luogo da dove si può vedere ciò che succede, cioè il nostro sguardo di clinico è forcluso, ma gli effetti che Czermak descrive sono perversi, ossia sono effetti strumentali per il soggetto. In passato si era più documentati sulle perversioni, oggi di meno. Certo, ogni fantasma è perverso (la storia del bambino polimorfo perverso di Freud), ma la differenza è che il perverso oltrepassa questa zona e va fino al fatto che godrà del corpo dell’Altro al punto di fare del suo corpo un oggetto di scarto.
[1] J.-J. Tyszler, Des métamorphoses et mutations de l’objet, “La Célibataire”, 4 (2000).
Il resto di questo saggio è in “Lacan psichiatra”, Laboratorio Freudiano, Roma, 2002 (Pubblicazione ad uso interno di Cosa Freudiana e del Laboratorio Freudiano per la formazione degli psicoterapeuti).

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